Maledetti appunti. In più occasioni mi capita ancora di vedere speaker e relatori che gestiscono male i fogli del proprio discorso. Dovremmo ricordarci (porca miseria ladra col passamontagna :-)) che gli appunti non sono una poesia da ripetere a memoria.
“La nebbia gli irti colli piovigginando sale” è un’altra cosa. Io e te non siamo Giosuè Carducci e il discorso il pubblico non è una poesia. Possiamo leggerlo per intero la prima volta perché siamo insicuri, però dalla seconda dovremmo gestire gli appunti in altro modo.
Come una sorta di stampella, nel senso che utilizziamo le parole chiave come supporto per il nostro discorso. Di tecniche ce ne sono diverse, nel libro sul Metodo 4S parlo di quella utilizzata da Reagan. Il presidente parlava per ore come se non avesse degli appunti davanti agli occhi.
Il tempismo tra sguardo e parola che pronunciamo è determinante. Perché dovremmo tapparci la bocca quando guardiamo gli appunti, altrimenti trasciniamo di più l’attenzione sul foglio. Il pubblico capirà quindi che stai leggendo e non parlando in pubblico. Anzi, ad essere più precisi dovremmo dialogare con le persone davanti a noi o perdiamo di umanità come dei robot sul palco.
A quel punto, è inutile arrabbiarsi perché non siamo stati efficaci a comunicare o far capire l’importanza del nostro servizio o prodotto. Si tratta di una normale conseguenza perché ci siamo dimenticati del dialogo e abbiamo fatto prevalere la poesia.
Giuseppe Franco
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