Quante volte ti hanno detto “sarò breve” ad inizio di un discorso pubblico e poi ti hanno trapanato i coyotes senza una fine?
Capita, a volte, anche senza una grande responsabilità. Se non quella di essersi preparati poco o lasciato tutto all’improvvisazione.
Invece bisognerebbe essere brevi. Perché chi ci ascolta ha un “limite” di tempo e di attenzione che ci dedicherà alla comprensione di quello che stiamo dicendo.
Ed è una regola già scoperta nell’antichità ad parte di Aristotele. Ne parla Edith Hall nel suo libro Il metodo Aristotele.
Il filosofo aveva scoperto che ci sono limiti abbastanza universali della quantità di informazioni che qualsiasi essere umano può assorbire e conservare.
Per cui quando stiamo raccontando qualcosa, dobbiamo raccontarla nel modo più compatto e con il minor numero di parole possibile.
Già Aristotele, pur non avendo un riscontro scientifico, aveva capito quello che poi è stato scoperto successivamente: il cervello deve acquisire un po’ di informazione alla volta.
Questa cosa potrebbe spaventare da un lato perché bisogna essere allenati e bravi nel farlo. Però lo stesso Aristotele sapeva e diceva che la retorica poteva essere accessibile. Tutti potevano imparare a parlare a comunicare efficacemente con gli altri.
L’aspetto interessante che emerge dall’insieme di queste valutazioni di Aristotele è che per quanto ci siamo evoluti su certi aspetti, il cervello è sempre quello 😉
Il nostro compito è essere brevi e non un trapano che ripete lo stesso rumore, al punto di farci spazientire e romperci i coyotes (ah… questa ultima frase non la diceva Aristotele ;-)).
Giuseppe Franco
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